Il trucco nascosto del prosciutto economico che ti fa spendere di più senza saperlo

Quando percorriamo il corridoio dei salumi al supermercato, è difficile resistere alle confezioni di prosciutto cotto in promozione che ostentano scritte rassicuranti: “ricco di proteine”, “senza glutine”, “fonte di ferro”. Messaggi che trasmettono un’immagine salutare, quasi da alimento consigliato per una dieta equilibrata. Ma dietro questi claim apparentemente trasparenti si nasconde una realtà più complessa, che pochi consumatori si fermano ad analizzare con attenzione.

La strategia dei claim salutistici: cosa non ci viene detto

Le etichette dei prosciutti cotti più economici sono diventate veri e propri manifesti pubblicitari. “Alto contenuto proteico” campeggia a caratteri cubitali, mentre in caratteri microscopici, nell’elenco degli ingredienti, troviamo spesso una lista lunga di ingredienti aggiuntivi e un contenuto di sale non trascurabile.

I dati nutrizionali di molti prosciutti cotti disponibili sul mercato italiano riportano valori di sale intorno a 1,8-2,2 grammi per 100 grammi di prodotto, secondo quanto emerge dai dati CREA sulle carni trasformate. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che l’apporto di sale nella popolazione adulta non superi i 5 grammi al giorno, equivalenti a circa 2 grammi di sodio. Tre porzioni da 30-40 grammi di prosciutto cotto ad alto contenuto di sale possono coprire una quota rilevante di questa soglia, soprattutto se sommate al sale nascosto in pane, formaggi e prodotti industriali.

Il punto critico sta nel fatto che nessuna delle affermazioni riportate sul fronte confezione è tecnicamente falsa. Il prosciutto cotto contiene proteine in quantità tali da poter legittimamente vantare il claim “fonte di proteine” o “ad alto contenuto di proteine”, secondo il Regolamento CE n. 1924/2006 sui claim nutrizionali. È naturalmente privo di glutine e fornisce piccole quantità di ferro eme, meglio assorbibile rispetto a quello vegetale. Tuttavia, queste verità parziali oscurano completamente gli aspetti critici del prodotto, creando un’illusione di salubrità che non riflette il quadro nutrizionale complessivo.

Il sodio nascosto: un problema sottovalutato

Soffermiamoci sul sodio, il vero elefante nella stanza quando parliamo di salumi. Mentre le confezioni enfatizzano i benefici nutrizionali, il contenuto di sale viene relegato nella tabella nutrizionale sul retro. In Italia, il Regolamento UE n. 1169/2011 prevede che in etichetta venga riportato il sale calcolato a partire dal sodio.

I salumi sono indicati da OMS e FAO tra le principali fonti di sodio nella dieta dei paesi industrializzati, insieme a pane, prodotti da forno e formaggi. Un’elevata assunzione di sodio è associata a un aumento del rischio di ipertensione e malattie cardiovascolari. Meta-analisi e linee guida congiunte WHO/FAO indicano che la riduzione dell’apporto di sodio abbassa la pressione arteriosa e il rischio cardiovascolare nella popolazione generale.

Il sale nei prodotti carnei trasformati ha molte funzioni tecnologiche: migliora la conservazione attraverso un effetto antimicrobico, contribuisce al sapore, favorisce la ritenzione idrica nella matrice proteica e quindi il peso del prodotto finale. L’uso più generoso di sale nelle linee economiche risponde alla funzione di esaltatore di gusto poco costoso e agente di conservazione, soprattutto in prodotti con materia prima e formulazioni meno minimal.

Gli additivi: funzioni nascoste dietro sigle incomprensibili

Un altro aspetto importante riguarda la presenza di ingredienti e additivi nei prosciutti cotti di fascia bassa. Anche quando in etichetta frontale si legge “senza conservanti” o “senza polifosfati aggiunti”, voltando la confezione si trovano spesso altri ingredienti consentiti dalla normativa come destrosio e altri zuccheri usati come correttori di sapidità, proteine vegetali di soia, pisello o grano impiegate per aumentare la capacità di legare acqua e migliorare la resa, aromi naturali utilizzati per standardizzare il profilo sensoriale e addensanti come carragenina o gomma di guar aggiunti per stabilizzare la frazione acquosa.

La normativa europea, attraverso il Regolamento CE n. 1333/2008 sugli additivi alimentari, consente l’impiego di questi additivi entro limiti definiti e valutati come sicuri dall’EFSA. La loro presenza non indica automaticamente un rischio tossicologico, ma è un indicatore di prodotto più processato e meno semplice dal punto di vista compositivo.

La percentuale di carne: il dato che fa la differenza

Un’informazione chiave, spesso poco evidenziata a scaffale, è la percentuale effettiva di carne nel prosciutto cotto. Il Decreto Ministeriale 21 settembre 2005 in Italia stabilisce le denominazioni “prosciutto cotto”, “prosciutto cotto scelto” e “prosciutto cotto di alta qualità” in base alla percentuale di muscolo di coscia suina e al contenuto di umidità e proteine.

I prodotti di alta qualità hanno un tenore di carne effettiva più elevato e una lista ingredienti più corta, prevalentemente coscia di suino, sale e pochi altri ingredienti. I prodotti standard possono includere più acqua aggiunta e ingredienti tecnologici, con una percentuale di carne effettiva inferiore.

Nel mercato, molti prosciutti cotti di fascia economica dichiarano percentuali di carne nell’ordine del 70-75%, mentre per i prodotti di fascia alta o “alta qualità” si trovano spesso valori pari o superiori al 90% di carne di suino. Il resto del peso è costituito da acqua, sale, coadiuvanti tecnologici e ingredienti aggiunti.

Se un prosciutto economico contiene il 75% di carne e viene venduto a 1,99 euro l’etto, il costo dell’etto di carne effettiva è pari a circa 2,65 euro per 100 grammi di carne reale. Questo ridimensiona notevolmente il vantaggio di prezzo rispetto a un prosciutto di qualità superiore che costa di più a etto ma contiene una quota maggiore di carne.

Come difendersi: strumenti pratici per scelte consapevoli

Il consumatore può ridurre notevolmente il rischio di essere influenzato solo dal marketing frontale con alcune strategie pratiche e immediate. Leggere l’elenco ingredienti è fondamentale: per un prosciutto cotto di qualità, la lista dovrebbe essere relativamente breve, con coscia di suino, sale, eventualmente pochi aromi naturali e antiossidanti. Una lista lunga di proteine aggiunte, zuccheri, addensanti e aromi è indice di prodotto più ristrutturato.

Verificare il contenuto di sale è altrettanto importante: molti documenti di sanità pubblica raccomandano di privilegiare prodotti con meno di 1,5 grammi di sale per 100 grammi. Controllare la percentuale di carne, quando indicata, aiuta a orientarsi verso prodotti con un contenuto di carne pari o superiore all’85-90%, che di solito corrispondono alle categorie “scelto” o “alta qualità”. Valutare i claim generici come “ricco di proteine” o “senza glutine” su alimenti che naturalmente hanno queste caratteristiche va fatto con spirito critico, leggendoli per quello che sono: strumenti di marketing consentiti ma non necessariamente indice di superiore qualità o salubrità globale.

Il confine tra marketing legittimo e inganno

La legislazione europea, attraverso il Regolamento UE n. 1169/2011 sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e il Regolamento CE n. 1924/2006 sui claim nutrizionali e sulla salute, vieta claim falsi o oggettivamente fuorvianti, imponendo standard relativamente chiari. Esiste però una zona grigia in cui le aziende possono rimanere formalmente nel rispetto della legge pur enfatizzando aspetti marginalmente positivi e minimizzando quelli più critici.

Un claim come “ricco di proteine” su un prosciutto cotto non viola alcuna norma: la quantità di proteine per 100 grammi di prodotto è generalmente sufficiente a soddisfare i requisiti legali per tale indicazione. Tuttavia, la focalizzazione su questo aspetto può distogliere l’attenzione da elementi più rilevanti per la salute pubblica, come l’apporto di sale e il grado di trasformazione del prodotto.

Studi di psicologia del consumo mostrano che i claim nutrizionali e sulla salute possono indurre un effetto alone di salubrità, ossia una percezione complessiva di maggiore salubrità che non sempre corrisponde alla realtà nutrizionale del prodotto nel suo complesso.

La scelta consapevole come investimento sulla salute

La nostra salute dipende da scelte quotidiane spesso ripetitive, come quelle che facciamo al supermercato. Imparare a guardare oltre i messaggi pubblicitari, dedicare pochi secondi in più a girare la confezione e leggere ingredienti, valori nutrizionali e percentuale di carne è un investimento che può ripagare in termini di prevenzione di eccessi di sale e di maggiore qualità della dieta complessiva.

Un prosciutto cotto di qualità superiore, consumato con moderazione e all’interno di un’alimentazione prevalentemente basata su alimenti freschi e poco trasformati, modello coerente con le raccomandazioni nutrizionali di OMS e autorità nazionali, vale spesso più di quantità maggiori di un prodotto che di carne ha soprattutto il nome in etichetta. La differenza di prezzo iniziale si traduce in un risparmio reale quando consideriamo il contenuto effettivo di carne e il contributo alla nostra salute a lungo termine.

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